martedì 27 novembre 2007

La Telekom abbandona il ciclismo

La T-Mobile si separa dal mondo delle due ruote


T-Mobile e il ciclismo si separano: un altro colpo per il ciclismo. Foto: Focus

A seguito del caso Sinkewitz, uno dei giovani su cui il team ciclistico tedesco puntava per il rilancio, e che all'ultimo Tour de France è stato trovato positivo ai controlli antidoping, la Deutsche Telekom ha deciso di non rinnovare il contratto di sponsorizzazione con la squadra che nell'ultima stagione portava sulle magliette il simbolo di T-Mobile.


La decisione sembra arrivare anche a seguito dell'intervista rilasciata da Sinkewitz alla Süddeutsche zeitung alcuni giorni fa, in cui il giovane corridore ora sospeso non ha risparmiato critiche a tutto il sistema, arrivando ad accusare di connivenza con il doping non solo la sua ex società, ma tutta la federazione ciclistica tedesca.

Il Pastore Tedesco e il (Dalai) Lama

A differenza di Angela Merkel, papa Benedetto XVI non incontrerà il Dalai Lama


Il papa Benedetto XVI e il Dalai Lama - Foto da www.spiegel.deStampa e televisione riportano la notizia che Joseph Ratzinger ha disdetto il proprio incontro con il massimo esponente del Buddismo mondiale. Il Dalai Lama è atteso a Roma per una visita al nostro Paese e in un primo momento era previsto per il 13 dicembre un incontro con Benedetto XVI in Vaticano. L'ufficio stampa del pontefice ha però fatto sapere che l'incontro non si terrà.

Due volti della stessa politica


Molti ricorderanno che Angela Merkel qualche tempo fa non aveva esitato, nonostante le forti pressioni del regime cinese, ad accogliere il Dalai Lama durante la sua vista in Germania. L'atteggiamento di Angela Merkel era la logica conseguenza della linea politica che la cancelliera ha sempre tenuto nei confronti della Cina, in cui da una parte si è impegnata a intensificare i rapporti commerciali e dall'altra ha sempre dichiarato di non voler rinunciare a trattare con i partner del colosso asiatico anche i temi più scottanti come il rispetto dei diritti umani e la questione del Tibet. Angela Merkel sa bene che la Cina a livello economico sorpasserà presto la Germania, preparandosi ad insidiare i primi due posti di USA e Giappone, ma non rinuncia a porre l'accento sulla democratizzazione del Paese. Non è una dichiarazione di guerra, ma lo sforzo minimo che credo ci si possa aspettare da chiunque si fregia del titolo di capo di uno stato democratico.

Queste cose le sa sicuramente anche il pontefice, ma papa Benedetto XVI ragiona partendo da un altro punto di vista. La Chiesa Cattolica Romana conduce da anni un contenzioso con le autorità cinesi, che si arrogano il diritto di nominare i vescovi delle diocesi del proprio territorio. La diplomazia vaticana si e sempre rivelata molto esperta e non mi stupirebbe se fra qualche tempo, come "ringraziamento" per la disdetta dell'incontro con il Dalai Lama, dalla Cina arrivassero segnali di distensione sulla questione dei vescovi.

[Sui rapporti tesi tra Germania e Cina si veda anche il post di Beda Romano]

Schröder-Merkel e Benedetto XVI - Dalai Lama: i tedeschi e la doppia coppia


L'opinione pubblica tedesca sembra avvertire questo fatto molto più di quella italiana. La notizia della disdetta dell'incontro tra il "papa d'oriente" e quello d'occidente trova nei giornali e nelle televisioni teutonici più risonanza che nel mondo giornalistico italiano. Agli italiani la questione sembra interessare quindi solo a margine, anche se secondo un sondaggio del Corriere la maggioranza di essi è a favore di una presa di posizione contro la Cina.

Il presidente della Camera Bertinotti, esponente di un partito che da sempre si fa portavoce del rispetto dei diritti umani, tranne quando si tratta di Cina e di Cuba, ha dichiarato che non concederà la Camera al Dalai Lama, sostenendo la sua scelta con la motivazione che nella Camera dei deputati non si tengono celebrazioni, e che sono ammesse ecezioni solo con i capi di Stato. Peccato che nel 2002 la camerà si aprì per far posto a Giovanni Paolo II.
Foto della visita del papa alla Camera dei Deputati della Repubblica Italiana. Fonte: Ministero della Giustizia
Certo, il papa era intervenuto in quell'occasione in qualità di capo dello Stato Vaticano, cosa non applicabile al Dalai Lama, visto che il Tibet non è ufficialmente riconosciuto come stato: una distinzione di lana caprina che fa onore alla peggiore tradizione politica italiana. La scelta di Bertinotti, nella sua funzione di altissima carica dello Stato (e quindi una volta tanto di rappresentate super partes dell'intero popolo italiano) è grave, forse ancora più grave (a mio modo di vedere) di quella del capo del governo. Prodi, comunque, è un altro che il Dalai Lama non incontrerà. Il nostro Presidente del consiglio si accoda dietro alla lunga fila degli ignavi e spera di riscuotere in soldoni il silenzio sulla questione regalato alla Cina. Rispetto al suo predecessore, che aveva semplicemente ignorato il gigante asiatico, è un passo. Difficile dire in quale direzione.

Seguaci di questa tradizione sono in Germania i vertici della SPD, che già dai tempi di Schröder ha brutalmente chiuso gli occhi di fronte alle ingiustizie del regime cinese, privilegiando le firme sui contratti di collaborazione con Pechino alle firme in calce alle petizioni delle organizzazioni umanitarie. La visita del Dalai Lama ad Angela Merkel ha avuto come maggiori critici proprio il ministro degli esteri ed attuale vicecancelliere Steinmeier e l'ex cancelliere Gerhard Schröder, che d'altronde si era già distinto per aver definito l'amico Vladimir Putin un "lupenreinen Demokraten" [tradotto liberamente: uno spirito democratico senza macchia].

La Cina è un mercato enorme che fa gola sia a chi cerca affari, sia a chi cerca anime e così purtroppo non sorprende né l'atteggiamento delle massime istituzioni italiane, né quello del papa: ognuno cerca di aprirsi come meglio può la porta sul mercato cinese. Questo non influenzerà più di tanto l'italiano medio, che, in preda ad amnesia cronica, far poche settimane avrà già dimenticato l'accaduto, ma in Germania questa politica sembra lasciare il segno: un'inchiesta dello Spiegel rivela come la maggioranza dei tedeschi consideri il buddismo più simpatico del cristianesimo e come il Dalai Lama sia considerato un esempio da seguire per il 44% dei tedeschi contro il 42% che ha indicato il papa.

Per correre dietro alla Cina, la politica del Vaticano rischia di lasciare per strada ancora una volta la cattolicità tedesca. Sono maturi i tempi per un nuovo Lutero?

lunedì 26 novembre 2007

Springer riprova ad acquistare ProSiebenSat1

Il più grande gruppo editoriale tedesco tenta la scalata alla televisione privata


Dopo un fallimento decretato da un pronunciamento negativo dell'ufficio per la concorrenza nel 2006, la casa editrice Springer Verlag, che pubblica tra gli altri la Bild Zeitung, il tabloid di strada che è anche il girnale più letto in Germania, riprova ad entrare nel mercato televisivo cercando di acquisire una parte del canale via cavo N24. Questo canale appartiene al gruppo televisivo ProSieben-Sat1, con sede a Monaco di Baviera, che, assieme ad RTL è uno dei due principali attori nel panorama televisivo privato tedesco.

Ancora non c'è nulla di definitivo, ma lo Springer Verlag ha presentato ricorso contro la decisione dell'autority per la concorrenza che intendeva evitare la nascita di un colosso praticamente monopolistico nel settore della raccolta pubblicitaria e in ambito di mass media.

martedì 20 novembre 2007

Cambio direttore allo Spiegel

Aust cacciato dai suoi dipendenti. il più grosso settimanale tedesco cerca un sostituto


Stefan Aust guida dal 1994 lo Spiegel, quello che si autodefinisce Deutschlands bedeutendstes und Europas auflagenstärkstes Nachrichtenmagazin [Il più importante settimanale di informazione della Germania e quello con la tiratura più grande d'Europa].

Il contratto di Aust scade il 31 dicembre 2008, eppure nei giorni scorsi, mentre lui si trovava in vacanza in Asia, gli editori del giornale hanno deciso di mettersi alla ricerca di un sostituto.

L'importanza dello Spiegel in Germania


Antje Vollmer, una delle menti migliori dei Verdi tedeschi, ha detto nel 1992 che lo Spiegel aveva perso importanza e acquistato potere. Antje Vollmer si riferiva alla fine della cosiddetta era Augstein, il padre fondatore della rivista, il cui primo numero era apparso nel 1947. Questa tendenza sembra venire confermata da uno studio condotto un paio di anni fa dall'università di Amburgo che rivela come l'importanza dello Spiegel sia in realtà diminuita. Tra oltre 1500 giornalisti intervistati, infatti, solo il 33,8% indicava nello Spiegel la rivista di riferimento del giornalismo tedesco, relegandolo al secondo posto dietro alla Süddeutsche Zeitung, il quotidiano di Monaco di Baviera. Questo dato colpisce ancora di più perché ai tempi della frase appena citata di Antje Vollmer circa due terzi dei giornalisti affermavano che lo Spiegel rappresentasse il prodotto giornalistico di riferimento per loro (i dati di questo studio sono riportati da Wikipedia).

I rapporti di potere all'interno dello Spiegel


Organigramma del gruppo Spiegel Verlag
Lo Spiegel è il fiore all'occhiello dello Spiegel-Verlag Rudolf Augstein GmbH & Co. KG, con sede ad Amburgo. Nel 1974 Rudolf Augstein, fondatore della casa editrice, regalò il 50% della sua società ai suoi collaboratori e nel 2002, alla sua morte, stabilì nel proprio testamento che ai suoi eredi non dovesse toccare una quota sufficiente ad avere un pacchetto azionario in grado di bloccare le decisioni all'interno dell'azienda. Gli eredi ricevettero quindi il 24% (invece del 25%) del capitale. La società di controllo dei dipendenti dello Spiegel detiene la maggioranza assoluta con il 50,5% e il restante 25,5% è in mano ad una società controllata dalla Bertelsmann.

L'era di Stefan Aust


Quando Stefan Aust nel 1994 prende in mano le sorti della rivista, lo Spiegel deve fare i conti con la concorrenza agguerrita di Focus, un settimanale concepito chiaramente come alternativa allo Spiegel, non tanto negli argomenti trattati, ma nel modo di trattarli, nello stile (articoli più corti, linguaggio meno pomposo) e nel pubblico a cui si rivolgeva.

Sotto la sua direzione lo Spiegel ha accusato un cambio di rotta, con correzione verso destra. Molti lettori hanno infatti notato, parafrasando una dichiarazione di Augstein ("Liberal, im Zweifelsfalle links" - liberale, nel dubbio a sinistra) come il settimanale nell'ultimo quindicennio sia diventato Neoliberal, im Zweifelsfalle rechts [neoliberale, nel dubbio di destra].

Nonostante i modi poco ortodossi della sua cacciata e l'assurdità che una delle più importanti riviste del panorama giornalistico tedesco si trovi di fatto senza timoniere e con nessun sostituto in vista, molti, all'interno dello Spiegel, sembrano salutare con sollievo questo epilogo. Aust viene infatti accusato di avere metodi poco collegiali, di privilegiare giornalisti accomodanti alla sua linea e punire giornalisti meno plasmabili. Ad Aust non ha giovato neppure quello che è uno dei suoi più grandi successi e cioè lo sviluppo del canale televisivo Spiegel-TV, a cui ha continuato a dedicarsi troppo anche quando, nel 1994, ha assunto il ruolo di caporedattore dello Spiegel. I contrasti con gli editori del settimanale erano già stati evidenti nel 2005, quando la società che controlla le azioni in mano ai dipendenti e gli eredi di Augstein gli avevano rinfacciato una mancanza di qualità nel servizio informativo. A questo proposito si incolpa Aust, ad esempio, di non aver mai pubblicato un solo articolo sull'energia eolica, di cui è acerrimo nemico, oppure di aver sfruttato il giornale per una campagna personale contro la fabbrica della Airbus sorta ad Amburgo per la produzione di parti del modello A380.

Dal primo gennaio 2009 Aust non sarà più il caporedattore ufficiale dello Spiegel e conoscendolo c'è da credere che non accetterà di sopravvivere questi tredici mesi come re sotto scacco, preferendo quindi dare le dimissioni e lasciare il settimanale che, dietro a quello che a molti è sembrato un impacciato e dilettantesco Putsch, ha la grande possibilità di tornare ad essere il monumento del panorama giornalistico tedesco.

venerdì 9 novembre 2007

18 anni senza muro

Come ormai hanno detto e ridetto tutti, la generazione del 1989, quella che non ha conosciuto il muro, diventa maggiorenne. Soprattutto a loro vorrei proporre il ricordo di quello che è stato quel muro e di come negli anni '60, alcuni ragazzi italiani si sono "scavati" un posticino nella Storia.
L'intervista che vi propongo è con Ellen Sesta, autrice del libro Tunnel in die Freihet (in italia uscito da Garzanti con il titolo Il tunnel della libertà), moglie di Domenico Sesta, uno dei due ragazzi italiani protagonisti di un'avventura incredibile. Per ricordare.


L'intervista è tratta da RADIazione, il Podcast italo-tedesco della Freidrich-Alexander-Universität di Erlangen e Norimberga: ascolta.