domenica 25 ottobre 2009

La grammatica della rivoluzione

Storia di due articoli e un verbo

In preparazione ai vent'anni della caduta del muro di Berlino vorrei presentarvi un esempio di come il cambiamento di una sola parola in una proposizione modifichi completamente il significato della proposizione stessa.
Prendiamo lo slogan per eccellenza di quei giorni della fine del 1989: Wir sind das Volk [il popolo siamo noi].

Questo slogan, ripetuto all'infinito e con forza sempre crescente ad ogni manifestazione aveva un messaggio politico ben preciso: i cittadini della repubblica democratica tedesca rivendicavano il ruolo che avevano solo sulla carta, quello di popolo e quindi di detentore della sovranità. Con quello slogan i cittadini della Germania est chiedevano che venissero restituiti loro i diritti che gli erano stati sottratti (o promessi e mai dati) negli anni. Volevano contare di più, volevano decidere, volevano essere veramente i detentori del potere di una repubblica popolare. Quello slogan presupponeva l'esistenza della Repubblica Democratica Tedesca.
Tedeschi della DDR in fila presso una banca di Berlino Ovest per il Begrüßungsgeld, i Marchi di benvenutoDopo la caduta del muro, dopo le banconote di benvenuto, comincia a barcollare questa identità tra il popolo della Germania Est e il suo Stato. Quando i rischi enormi della rivoluzione dell'89 sono ormai definitivamente sopiti, quando la RDT si appresta a diventare uno stato effettivamente democratico, ecco che nasce un nuovo slogan: Wir sind ein Volk [noi siamo un popolo solo]. La sostituzione dell'articolo determinativo con l'articolo indeterminativo contiene non solo un programma politico epocale (Willi Brandt avrebbe detto poco più tardi "Jetzt wächst zusammen, was zusammen gehört" [ora cresce assieme quello che deve stare assieme]), ma un nuovo attore: il popolo della Germania Ovest, fino a quel momento spettatore ora curioso, ora commosso, ora distratto delle vicissitudini dei fratelli d'oltre cortina.
Wir sind ein Volk
È quella che in tedesco viene definita die Wende in der Wende [la svolta nella svolta]. È la fine del tentativo di creare una vera repubblica tedesca socialista.
È difficile stabilire l'origine e la data di nascita di questo secondo slogan, il momento preciso della sostituzione dell'articolo, ma alcuni indizi lasciano intendere che dopo la caduta del muro ci fu un'opera di propaganda ben architettata, tramite la quale soprattutto la CDU di Helmut Kohl ha cercato - con successo - di far crescere dal basso l'aspettativa e l'attesa della riunificazione. Quel cambio di articolo significa quindi anche l'inizio della regolarizzazione della rivoluzione. Da questo momento tutto torna in mano alla politica. Si riprendono le redini del cavallo impazzito, si torna a fare la storia ai tavoli delle trattative. Gli slogan diventano parte del disegno politico della riunificazione, i manifestanti pedine inconsce del progetto fortemente voluto da Helmut Kohl. La piazza è il luogo dove quello che dovrà diventare un popolo solo si incontra, si conosce, si abbraccia, festeggia.
Oggi, vent'anni dopo, di quello slogan e di quell'atmosfera rimane poco. I tedeschi dell'est e quelli dell'ovest sono rimasti a distanza. Sono diversi e non sanno perché. Molti non ricordano di avere avuto una storia separata. Molti non sanno di avere avuto per qualche mese una storia congiunta. Alcuni, malinconici, ricordano. E intonano uno slogan sommesso.: "Wir waren ein Volk".

Ebrei in Germania, ebrei di Germania

Segnalo un editoriale molto interessante sulla situazione della comunità ebraica tedesca. L'autore vede il rapporto tra ebrei e stato tedesco in dirittura d'arrivo nel lungo cammino della normalizzazione.

Il tabù infranto di cui si parla è l'attenzione dovuta a prescindere a qualsiasi affermazione o iniziativa della comunità ebraica. Questo ha portato negli anni gli ebrei a godere di una considerazione, di una presenza mediatica e di un potere certo non spiegabili con il peso dei numeri, in quanto la comunità è certo minore di tante altre di cui non si parla mai.
Drobinski, autore dell'articolo, sembra affermare che il "Bonus-Olocausto" di cui si sono potuti giovare gli ebrei nella Germania del dopoguerra sembra pian piano esaurirsi.

venerdì 23 ottobre 2009

I primi vagiti del nuovo governo

Promesse, pasticci e poltrone

Il nuovo governo deve ancora nascere e già ci sono parecchie cose di cui varrebbe la pena riferire.

Promesse
L'FDP è arrivata al tavolo delle trattative con una condizione che ha presentato come irrinunciabile: meno tasse. In campagna elettorale Westerwelle e i suoi hanno affermato a più riprese che la riduzione delle imposte sarebbe stata compensata dal maggior gettito fiscale dovuto alla ripresa economica. Che questo fosse impossibile lo aveva detto non tanto uno come Steinbrück (SPD), ex ministro delle finanze, ma anche uno come zu Guttenberg, ex ministro dell'industria della CSU: ci sarebbe voluta una crescita di quasi il 10% per coprire con maggiori entrate gli scompensi provocati dalla riduzione proposta dai liberali.
Un altro punto su cui la FDP si era dichiarata inamovibile era il famigerato Gesundheitsfonds, il fondo della mutua nato da un compromesso tra i socialdemocratici e l'unione (CDU-CSU), che ha fino ad ora prodotto solo maree di scontenti e buchi economici miliardari, tanto che le varie casse malattia hanno affermato di essere costrette ad aumentare le trattenute in busta paga dei lavoratori.
Forse è ancora presto per esprimere giudizi, ma i fatti lasciano intendere alcune cose. Innanzitutto la FDP non riuscirà ad imporre quasi nulla: il Gesundheitsfonds rimarrà sostanzialmente inalterato, mentre per la riduzione della pressione fiscale se ci saranno interventi questi non saranno certo rifinanziati dalla crescita del PIL a livelli cinesi, quanto piuttosto da un aumento dei debiti. In questo la FDP ha mostrato di essere piuttosto disinvolta, accettando (o forse addirittura proponendo) una specie di fondo speciale su cui far gravare i nuovi debiti, per mantenere l'impressione di un bilancio statale tutto sommato a posto.

Pasticci
Il pasticcio più grande si è registrato proprio sulla questione della riduzione delle tasse attraverso questo "bilancio parallelo". Nußbaum, responsabile delle finanze di Berlino, tecnico senza tessera di partito, anche se con simpatie progressiste, ha parlato di "falso in bilancio" e alla Süddeutsche Zeitung ha dichiarato: "Wenn ich in meinem Unternehmen auf diese Weise bilanzieren würde, wäre ich wegen Konkursverschleppung dran." [Se io nella mia azienda gestissi così i bilanci verrei processato per dilazione di fallimento].
Questo fatto, unito al modo non proprio ottimale con cui quest'idea è stata comunicata all'opinione pubblica, ha dato l'impressione che il governo nascente non fosse interessato alle riforme, ma a vecchi trucchi di finanza creativa, come si dice dalle nostre parti.
Dopo aver incassato una bocciatura generale (da economisti, corte dei conti, sindacati, imprenditori ecc...), l'idea è stata per ora accantonata.
Rimane l'impressione, molto forte, che ci si sforzi in queste ore di trovare un modo di facciata per salvare capra e cavoli, cioè un modo per far dire alla FDP che ci sarà una riduzione delle tasse anche se non è vero.
Poltrone
Dei nomi del prossimo governo si parlerà molto nei prossimi giorni, quando saranno ufficializzate le nomine. Intanto fanno già discutere i ministeri promessi a Schäble (finanze) e zu Guttenberg (difesa).
Schäble a controllare il rubinetto dei soldi mi sembra una presa di posizione decisa della CDU, che impone una persona certo non molto malleabile a guardia delle casse statali. Chi sperava in un bilancio allegro è avvisato. La CDU forse sarebbe stata disposta a dare il ministero anche a zu Guttenberg, rappresentante della CSU, che sulla questione degli sgravi fiscali la pensa diversamente dal resto del suo partito e, soprattutto, dal capo della CSU, Seehofer. Zu Guttenberg avrebbe certo potuto approfittare molto di questa occasione per la propria carriere personale, ma alla fine è stato deciso in altro modo.
Non penso di sbagliare di molto a vedere dietro questa non promozione di zu Guttenberg lo zampino di Seehofer, che deve fare i conti con un partito molto scontento e un concorrente interno (zu Guttenberg) acclamato a furor di popolo.
La scelta di zu Guttenberg come ministro della difesa è però interessante anche per un altro motivo: sembra una trappola, o almeno un freno, a Westerwelle, futuro ministro degli esteri. Zu Guttenberg alla difesa sarà molto impegnato sul piano internazionale e avrà parecchio da fare nelle trattative con gli Stati Uniti per un aumento dell'impegno tedesco in Afganistan. Il giovane barone bavarese ha mostrato interesse per i temi di politica estera, ha carisma, sa comunicare, è fotogenico, parla correttamente inglese, non ha paura di andare contro la corrente, sa farsi ascoltare: a me sembra che la sua nomina a ministro della difesa vada interpretata come una nomina a ministro degli esteri in minore, quasi un'ombra scomoda che grava su Westerwelle.
A lui spettano così una serie di compiti piuttosto difficili: convincere il partito e i suoi elettori che ha mantenuto le promesse ed essere migliore di zu Guttenberg. Questo lo costringerà ad agire più da ministro degli esteri che da capo di un partito di governo e gli toglierà così tempo e energie per disturbare troppo il lavoro di Frau Merkel, con cui concludiamo. Se lei è la regista di queste manovre, tanto di cappello. Ha sistemato una situazione non facile, con molti galli in un pollaio piccolo e stretto. L'ha fatto alla democristiana, se mi passate il termine, ma questo non deve essere per forza un demerito: io, almeno, sto cominciando a rivalutare quel modo di fare politica.

lunedì 12 ottobre 2009

jeder mit jedem

Mentre la FDP si preoccupa di come dovrà far capire ai suoi elettori che il promesso gigantesco alleggerimento fiscale non ci sarà, a livello di Länder si assiste in questi giorni alla nascita di coalizioni interessanti.
Nel Saarland i verdi silurano La Fontaine e la Linke e si avventurano in una coalizione giamaicana con i liberali e i cristiano democratici. Con tre parlamentari riusciranno probabilmente ad avere due ministeri. Nel frattempo hanno incassato una mezza scomunica dalla direzione nazionale per bocca di Özdemir.
In Brandeburgo, invece, Platzeck, unica nota positiva nel disastro elettorale della SPD formerà il prossimo governo con la Linke.

giovedì 8 ottobre 2009

Nobel per la letteratura a Herta Müller

Perché il riconoscimento va alla persona sbagliata

Perdonate il post molto personale, infondato e basato solo su una sensazione "a pelle", prometto di tornare più "sachlich" prima possibile.

Herta Müller vince il Nobel per la letteratura 2009. Se mi chiedessero una caratterista di Herta Müller direi che porta in giro la faccia tipica di una persona depressa che sta per suicidarsi. In questo senso la persona più adatta a succedere all'ultima scrittrice di lingua tedesca a ricevere questo riconoscimento, l'austriaca Jelinek nel 2004.

Non pretendo di avere la competenza per giudicare l'opera di Herta Müller, ma rimane in me la sensazione che la giuria del Nobel scelga sempre in primo luogo un messaggio politico che il premio deve veicolare e solo in seconda istanza si dedichi alla ricerca degli autori che rispondono al primo requisito. Il problema è che il messaggio politico è spesso anacronistico, come in questo caso e come, ad esempio, nel caso di Saramago. Quest'anno il Nobel va a Herta Müller

who, with the concentration of poetry and the frankness of prose, depicts the landscape of the dispossessed

Confesso di non conoscere molto dell'opera di Herta Müller; quel poco che ho avuto per le mani mi ricorda un po' la Arslan della "Masseria delle allodole". Ma il mondo della Müller è lontano, finito, assorbito. Per i derubati della propria terra, della propria dignità, della propria storia credo che il comitato dovesse andare a cercare in Africa. Rimane allora la sensazione un po' amara che, nel voler riportare l'attenzione sulla letteratura tedesca, il comitato del Nobel abbia sbagliato completamente mira, convogliando l'attenzione su un'apolide a disagio ovunque. Il messaggio del comitato è debole. La candidata scelta a fare da megafono poco adatta. Peccato.

Nel ventennale della caduta del muro io, il Nobel, lo avrei dato a Christa Wolf.

giovedì 1 ottobre 2009

Tu non c'eri

[Pubblicata su Italians del Corriere della sera.]

Tu non c'eri. Non avevamo ancora avuto il coraggio di pensarti. Sapevamo che farlo avrebbe significato condannarti alla prigione. Lì, con noi. E avevamo paura. Quella paura sbarazzina di chi si infila per strada nei cortei, attento a urlare, ma non troppo. La paura di chi ha imparato negli anni a riconoscere Giuda silenzioso e infagottato nel suo cappotto da 30 denari.
Tu non c'eri quando ci rubavano il presente vendendoci un futuro glorioso e fiorente. Tu non lo sai cosa vuol dire battere le mani a comando, sorridere a comando, subire a comando e a comando far del male. Tuo padre ed io non ti volevamo perché eri pericoloso. Come un pensiero di libertà, di fiducia, d'amore.
Tu non c'eri in quel labirinto dove noi ci sentivamo sempre Icaro e guardavamo con speranza e sospetto mille Dedalo. Tu non c'eri mentre noi morivamo pian piano perché non abbiamo voluto che il filo spinato ti penetrasse nella carne, nei sentimenti, nei pensieri. Tu non hai visto quelli che sono partiti per non arrivare mai. Quelli che sono rimasti lì, ai piedi di quel muro, anche se li hanno portati via subito.
Non c'eri in quei tunnel, in quei bauli, in quelle valigie, in quei palloni aerostatici cuciti a mano, sotto quelle auto a due centimetri dall'asfalto.
Tu non lo sai che un annuncio funebre può essere un atto rivoluzionario. Tu non sai per quale motivo chi sogna di scappare muore aspettando ma chi scappa per un sogno muore vivendo.
Non lo sai. Non lo puoi sapere. Non c'eri.
C'eravamo noi. Noi che non avevamo scelto di essere là, perché ci aveva scelti la Storia. Noi che non ti pensavamo neanche, per non farti male, per non farti schedare e obbligarti a tradire, a servire, ubbidire. Tu che sei così vivace, che ridi, che ti arrabbi e contesti. Tu che sei sincero. Tu che non hai bisogno di 30 denari.
C'eravamo noi e c'eravamo in tanti, là, quella sera, perché tanti, troppi, non c'erano più.
Era giovedì. Oggi, vent'anni fa. Quella notte abbiamo urlato più forte, strozzato lo strozzo della paura, guardato negli occhi chi aveva l'ordine di ammazzarci. E lui non ha urlato di fermarci, di alzare le mani, di tacere. Non ci ha sparato, non ci ha randellato. Ha chiuso gli idranti. Fermato i cingoli.
Davanti a noi un fucile, dietro un soldato. Dentro, dopo 28 anni, un uomo.
Ci ha sorriso. Ci ha aperto la porta sul mondo.
E noi siamo usciti a respirare.
E oggi sei qui e fra nove mesi compirai vent'anni, ma per noi la tua festa è adesso.
E io ti regalo questa storia che non conosci e non puoi capire, perché tu non c'eri. E ti chiedo di difenderla. Difendila non perché è la storia del mio passato, ma perché è il lasciapassare per il tuo futuro.