venerdì 29 ottobre 2010

Cultura: quando i giornali sono peggio del governo

In un articolo apparso su Repubblica si accusa il governo italiano di aver tagliato di oltre il 50% i fondi della Società Dante Alighieri.
La "Dante" ha, fin dalla sua fondazione oltre cento anni fa, il compito di promuovere la cultura e la lingua italiana nel mondo e conta oltre 400 sedi all'estero.
A leggere l'articolo di Repubblica si è portati a pensare che l'Italia abbia fatto un altro degli ormai innumerevoli autogol: il governo taglia i finaziamenti e mette a disposizione della Dante 600 mila euro, contro i 220 milioni che spende il Regno Unito per il British Council e i 218 che investe la Germania nei Goethe Institute.
Un "Armuszeugnis", come si dice da queste parti. Se non fosse per qualche piccolo particolare che Zunnino, autore dell'articolo, tralascia:

  • Il governo italiano è l'unico che, per la promozione dell'italianità nel mondo, finanzia sia una società privata come la Dante (una Onlus, ma pur sempre una società privata), sia gli istituti di cultura. Non ho dati sui finanziamenti agli istituti di cultura, ma facendo due conti della serva la cifra deve essere sicuramente di qualche decina di milioni di euro.
  • In un periodo di casse vuote sarebbe necessario non tanto guardare alla quantità dei finanziamenti, ma alla qualità del prodotto. La Dante opera spesso in modo assolutamente autonomo nei suoi comitati locali, offrendo a volte programmi culturali che lasciano interdetti, slegati dalla storia, dal mondo, dall'attualità. Spesso il lavoro della Dante viene svolto senza accordi con gli istituti di cultura presenti sul territorio, quando non (capita) contro gli istituti stessi. I corsi di lingua e la metodologia di insegnamento della Dante, con la certificazione PLIDA, non appartengono certo all'avanguardia dell'eccellenza didattica in fatto di insegnamento dell'italiano come lingua seconda o lingua straniera.
  • Gli istituti di Cultura sono da sempre innanzitutto poltrone da distribuire e la tendenza degli ultimi anni è, se possibile, al peggioramento. Da una parte strutture fatiscenti che ingoiano gran parte del budget, dall'altra frequente e assoluta incapacità manageriale dei direttori (per alcuni dei quali scrivere una mail è già un'opera di alta ingegneria). Esiste da tempo una pagina del ministero che elenca le attività degli istituti di cultura nel mondo: una pagina che si è trasformata in un'autocertificazione di incompetenza: una mezza perla opaca ogni tanto, per il resto una lunghissima fila di mostre di signor nessuno e di proiezioni di film. La settimana della lingua italiana nel mondo, lodevolissima iniziativa di Francesco-Santo-Subito-Sabatini, è un'accozzaglia di buona volontà (spesso, ma non sempre), improvvisazione, menefreghismo, nepotismo, dilettantismo organizzativo da corrida e, certo, finanziamento inadeguato (eufemismo per "inesistente").
  • Non c'è trasparenza nei concorsi per i posti agli Istituti, non si tiene conto delle effettive competenze dei candidati (cosa ci fa Patrizia Raveggi, esperta di ex-Jugoslavia, al Cairo?), non si cercano sinergie tra le istituzioni presenti a livello nazionale (piuttosto che mettersi d'accordo tra loro per organizzare quattro o cinque incontri con un Umberto Eco nei principali centri del Paese, certi istituti sono capaci di far venire un Umberto Eco quattro o cinque volte dall'Italia). 

È apprezzabile quindi l'articolo di Repubblica, che vuol porre l'attenzione su un problema importante, ma c'era da augurarsi un'esposizione dei fatti più informata, precisa e interessata. La notizia a mio parere non sono i soli 600 mila euro che l'Italia investirebbe nella sua politica culturale all'estero, ma i 600 mila euro messi a finanziare una politica culturale all'estero che l'Italia, semplicemente, non ha.
Che i finanziamenti siano stati tagliati è triste; che continuino ad essere sperperati è scandaloso.