martedì 31 luglio 2007

La malattia italiana della politica tedesca

Un articolo de La Stampa sul bilancio di metà governo dell'esecutivo Merkel


Sulla versione online de La stampa è uscito il 30 luglio un interessante articolo di Carlo Bastasin che tenta di tracciare un bilancio dei primi due anni di governo dell'esecutivo guidato dalla cancelliera Angela Merkel e prova a formulare alcune ipotesi di sviluppo futuro.


Merkel dai due volti: forte in politica estera...


L'analisi si rivela a mio parere interessante e calzante, anche se forse non coglie la particolarità della prima donna tedesca a capo del governo federale della Germania. Angela Merkel ha mostrato a mio parere in questi due anni due volti ben diversi: in politica estera è riuscita a conquistarsi la fiducia di tutti e ha ottenuto risultati importanti, mostrando più attaccamento ai valori democratici del proprio predecessore Gerhard Schröder. Il semestre di presidenza europea e l'incontro dei G8 ad Heiligendamm sono stati prove difficili che la Merkel, a detta di tutta la stampa estera, ha superato brillantemente e dove non è ruscita ad ottenere risultati soddisfacenti le colpe non sono sue (vedi lo strappo della Polonia sulla Costituzione europea). La cancelliera tedesca ha inoltre avuto da subito il coraggio di parlare chiaramente con i partner scomodi ma irrinunciabili del proprio paese. Ha ricordato a Putin (che Schröder aveva definito "lupenreiner Demokrat", uno spirito democratico senza macchia) più volte e apertamente il valore dei diritti umani e ha espresso a Bush le sue perplessità per le scelte americane in Medio Oriente.


A livello europeo la Merkel ha però concesso troppo, a mio avviso, alla lobby automobilistica (molto forte in Germania) all'interno del dibattito sulla politica ambientale e di riduzione dei gas di scarico, opponendosi a limiti severi e vincolanti.


... e debole inpolitica interna


In politica interna, invece, Angela Merkel non gode della fiducia e della stima che le riconoscono la stampa e l'opinione pubblica internazionale. Il consenso a cui accenna anche Bastasin nel suo articolo è effettivamente alto, ma è ben lungi dal rendere bene il polso della situazione. Da una parte la cancelliera si fa forte di uno sviluppo economico notevole, con una grande ripresa in termini assoluti e con entrate fiscali a livelli da record, dall'altra si vede confrontata con una serie di problemi che né lei né la sua coalizione di governo sembrano in grado di risolvere.


La fermezza che le viene riconosciuta a livello internazionale non viene percepita nella vita politica interna, dove, anzi, la sua voce si fa sentire troppo poco. Troppo spesso i ministri dell'esecutivo litigano tra di loro e rendono ancora più marcata la sensazione di una mancanza di guida forte e decisa. È proprio lo spessore politico che le manca, l'autorevolezza per zittire tutte le prime donne dell'arena politica, dove può contare su sempre meno estimatori anche all'interno della propria frazione. Paradossalmente Angela Merkel ha infatti più problemi con i propri ministri che con quelli del partito di coalizione, la SPD. Jung, ministro della difesa, da l'impressione di essere costantemente fuori ruolo. Tiene un basso profilo più per necessità che per scelta e su tutte le decisioni importanti (vedi Afganistan) sembra non avere molta voce in capitolo. Seehofer e Glos sono della CSU, costola bavarese politicamente indipendente dei cristiano sociali e hanno al momento grossi problemi di leadership regionale. Soprattutto Glos soffre molto il fatto di essere un ripiego, cioè un candidato di riserva capitato per giochi più grandi di lui su un ministero importante come quello dell'economia. Ci sono poi il ministro della famiglia, Ursula von der Leyen, che da quasi un anno riceve costantemente critiche pesantissime da parte dei propri compagni di partito e vive quasi da separata in casa e Annette Schavan, che la riforma federale di questo governo ha definitivamente trasformato in inutile ministro dell'istruzione, in quanto il nuovo quadro di riferimento federale trasferisce tutte le competenze in tema di politica scolastica ai Länder federali. E infine c'è il ministro dell'interno, Wolfgang Schäuble, uno dei decani della politica tedesca, che però, ai tempi dello scandalo per i fondi neri del partito, la Merkel ha contribuito ad affondare assieme ad Helmut Kohl, impedendogli di aspirare a diventare Bundeskanzler, cancelliere federale.


Proprio la già accennata riforma federale ha sancito infine lo scoppio definitivo della guerra tra i vari livelli della CDU, divisa tra necessità politiche nazionali e interessi locali. Più volte il Bundesrat, la camera dei Länder, dominata dalla CDU, ha bocciato proposte di legge votate dal Bundestag, il parlamento nazionale, dove la stessa CDU è partito di maggioranza all'interno della coalizione di governo. L'esempio più paradigmatico è sicuramente quello della legge antifumo, che in primavera il governo ha approvato a maggioranza per poi scoprire di avere in realtà appena trasferito alle regioni la competenza per legiferare in materia. I Länder hanno rifiutato la proposta del governo e non sono riusciti a trovare l'accordo, con il risultato che ora entreranno in vigore 16 leggi diverse (le prima proprio domani, 1 agosto 2007).


Dal punto di vista della riforma dello stato sociale, Angela Merkel si vede confrontata con un bilancio difficile da interpretare. Gli esperti e il mondo economico hanno salutato positivamente l'innalzamento dell'età pensionabile a 67 anni. Molto meno ben disposta è stata però la reazione della gente comune, soprattutto di quelli che escono sconfitti dal corso di riforme delle ultime due legislature (i cosiddetti Hartz IV-Empfänger). A coronare il tutto c'è stata poi la riforma del sistema sanitario, che ha largamente mancato gli obiettivi che si era riproposta e che minaccia di svantaggiare nuovamente i ceti meno abbienti.


Prospettive per la fine della legislatura


L'articolo di Bastasin mette poi in guardia da un pericolo appena nato, quello della sinistra populista che cavalca lo scontento generato da queste riforme e propone lo scenario di coalizioni future sempre più legate ai singoli temi e libere dai laccetti ideologici. Se in linea di massima il discorso è accettabile, stupisce però l'estrema vicinanza che Bastasin vede tra la CDU e i verdi:


L’avvicinamento dei temi tra i due partiti infatti è straordinario: ambiente, clima, diritti umani, ruolo femminile, politiche della famiglia, vincoli generazionali, politica di bilancio



In realtà su quasi tutti questi temi la distanza tra i cristiano sociali della Merkel e i verdi è notevole. Sul clima e sull'ambiente la CDU sta tentando ancora di contrastare l'abbandono al nucleare deciso dal governo precedente e si mostra assai accondiscendente nei confronti dei poteri forti dell'industria, nicchiando spesso su vincoli severi in tema di emissioni inquinanti. Sui diritti umani proprio Schäuble, ministro degli esteri in carica, vuole imporre una serie di restrizioni che vanno sotto l'etichetta di "lotta al terrorismo" (vedi la perquisizione online non autorizzata e segreta dei computer) che non sono assolutamente conciliabili con le idee dei verdi. Sul ruolo femminile e la politica della famiglia, poi, abbiamo già detto come la ministra von der Leyen sia isolata nel proprio partito. Oltretutto va rimarcato come il dibattito sul ruolo della donna sia uno dei temi meno sentiti da un governo che è guidato da una donna (ma va notato che Angela Merkel ha accentuato la sua femminilità solo in campagna elettorale, per tornare poi, una volta eletta, a presentarsi come figura politica asessuata). I vincoli generazionali sono uno dei grandi temi su cui la coalizione si spaccherà (definitivamente?) nei prossimi due anni. Sulla politica economica e di bilancio infine, mi sembra che le differenze tra CDU e verdi siano forse ancora più notevoli che sugli altri temi, in quanto in questo campo l'impostazione ideologica è ancora troppo forte.


Certo, rimane il fatto che i sondaggi vedono i cristiano sociali piuttosto forti e i socialdmeocratici sempre più deboli. Rimane il fatto che la leadership di Guido Westerwelle, il capo dei liberali, verrà messa sempre più in discussione e che una sconfitta (in termini numerici, ma anche di non partecipazione al governo) alle prossime elezioni sarà per lui forse impossibile da gestire se non con le dimissioni e che la sinistra populista dei Linke ha in Lafontaine e Gysi due figure carismatiche, due grandi comunicatori che riusciranno a sfruttare il malcontento sociale degli strati esclusi dal boom economico di questi mesi.


A tutto questo daranno risposta i prossimi due anni che, su questo concordo con Bastasin, rischiano di italianizzare molto la politica tedesca.